Io mi ricordo quando ancora ci si rivolgeva dando del "Vussuria"
E
ricordo anche la mia infanzia. Siamo nati e cresciuti in campagna avevamo poco
e si viveva con i doni della terra, mentre papà lavorava come cuoco in città.
La nostra (per modo di dire) era una casa colonica di mezzadria di colore giallo-ocra
ed aveva le finestre verde scuro a vista, un grande prato, tanti alberi di
macchia e tanti alberi di gelsi, molti animali, un enorme campo coltivato a grano,
orzo, avena e granturco, un altro lasciato a maggese; due orti, un immenso
uliveto con maestosi ulivi secolari, colline intorno, con i colori della natura
che scandivano le stagioni. Insomma un’infanzia vissuta fra campi dorati di
grano macchiati di papaveri rossi, fiori di camomilla e tarassaco, tappeti di
foglie colorate che mio nonno raccoglieva in autunno e li mettava nel fienile,
alberi decorati da frutti, di tutte le varietà, distese di verde, prati e campi
brinati dal freddo, cespugli fioriti e profumati.
Appena
subito di fianco alla casa, una stalla, che ospitava gli animali: 10 mucche
strane di colore, grigio, con imponenti corna che mio nonno chiamava ‘’vacche nostrane” (né io né lui in quel
tempo sapevamo fossero Podoliche), 2
asini, una cinquantina di capre, avicoli di ogni razza ed età, conigli.
Di
fianco la stalla una (loggia) dove si riponeva l’aratro, l’erpice e tutti gli
altri attrezzi per la coltivazione della terra e per la mietitura, con 2 Aie in
mezzo tutto l’appezzamento.
Nel
sottotetto della stalla vi era una colombaia che ospitava centinaia di colombi
che quando si alzavano in volo, il battito delle ali sembrava lo sfrecciare di
tante saette. Una porcilaia con circa 10 maiali, all’epoca erano già tutti
bianchi, quelli neri, che prima mio nonno conduceva al pascolo ‘’U Patrunu’’ non li voleva più perché
crescevano poco e diventavano troppo grassi.
Attaccati
al muro di casa due enormi forni fatti a mano con i mattoni di argilla, il pane
veniva fatto da mia nonna con il “Crescente”
si faceva quasi tutte le settimane. Mia nonna, una donna generosa e con un
grande cuore, una lavoratrice instancabile, una massaia di vecchio stampo,
riusciva ad impastare e rigirare a mano da sola nella “Mailla” 20kg di farina. Nella zona era considerata una sorta di
capo tribù trovava rimedio a tutto, faceva anche da infermiera facendo le
punture con la siringa di vetro “Gnizione”
a chi ne aveva bisogno.
Mi
ricordo che prima di Natale era d’obbligo andare a cercare il muschio per
allestire il presepio, l’albero si faceva tagliando un ramo di corbezzoli i
suoi frutti rossi fungevano da addobbi. Il focolare, era sempre acceso anche
quando fuori vi erano 40°C ed inoltre, era l'unica fonte di riscaldamento della
casa, ma serviva anche e soprattutto per cucinare. Mia nonna sosteneva che il
"mangiare cotto sul fuoco”
prendeva un altro sapore, ed era verissimo!
Il
cibo era migliore di quello di oggi, si mangiavano prodotti genuini a “metri 0” nel camino c'era sempre una “pignata” con il coperchio di coccio che
lasciava fuoriuscire un leggero vapore. Dentro il più delle volte cuocevano a
cottura lenta i ceci con il “lauru”,
l'aglio e l'osso del prosciutto, altre volte fagioli con pezzi di cotiche e
carne “incantarata” oppure finocchio
selvatico con la “nuglia” (meglio
nota come “vozza”) il profumo che
emanava quel leggero sobbollire inebriava l'intera casa e si sentiva anche da
fuori, anche l'aglio e l'alloro erano diversi ma un po’ tutte le spezie erano
diverse mi riferisco a quel profumo intenso che ti rimaneva addosso e non avevi
bisogno di anti-repellenti. Mia nonna poi, le sapeva dosare bene nei cibi. Già
verso metà mattina quando giungeva l'ora di preparare il pranzo lei aveva già
tirato la sfoglia per le “lagane”.
I
batti becchi di nonno e nonna la mattina prestissimo erano allietati dal
profumo delle patate fritte questa era la sua colazione prima di condurre gli
animali al pascolo, a noi toccava la "mpanata
di ricotta" oppure orzo con i taralli. L'orzo veniva tostato in un pentolino
sui carboni poi macinato. Quell'orzo era ricco di autenticità sia nel sapore
che nel profumo, non era certo l’orzo in bustine di oggi.
Quando
era il momento di mietere il grano eravamo entusiasti, mio nonno radunava una
squadra tra parenti, comari e compari gente del vicinato etc. a cui dettava e
stabiliva i ranghi per iniziare a mietere a mano, ed alla fine della mietitura
si assisteva alla costruzione della “casetta
fatta con le gregne” alla fine di tutto il grande pranzo nello stanzone
dove il cibo era il grande protagonista!
Gianluigi Miceli